Pagine

sabato 29 dicembre 2012

Per una fenomenologia posticcia delle fans caposseliane

    C’era una volta Musico. Andava ai concerti perché se ne intendeva. Gli studi o il talento naturale, cose così. E allora niente, Musico ne capiva di tutta la musica, di tutti gli spartiti, di tutte le note, di tutti i musicisti, i cantautori, i concertisti, i direttori d’orchestra, eccetera eccetera. Conosceva anche tutti gli strumenti, naturalmente, perfino quelli che adesso dovrei cercare il loro nome su Google perché io, invece, non li so. Perciò Musico era dunque un grande intenditore della musica per intero, aveva, come si dice, una visione rotonda e completa del panorama musicale presente, passato e, io lo credo, anche futuro. E andava ai concerti. Molti e differenti. Da solo o con amici. Allora capita che Musico va una sera a sentire Vinicio Capossela. Che poi, tra l’altro, c’era già andato altre volte. Non è tanto che gli fosse scoppiata la passione per il cantautore (che anzi, a essere sincero, lo trovava piuttosto stonato), ma non gli dispiaceva, via. Poi voleva trovare la conferma di certi suoi pensieri circa la singolare genìa delle spettatrici caposseliane[1]. Insomma Musico va, si ascolta il concerto poi, come sua consuetudine (che era anche un discreto dongiovanni, benché intimamente misogino), adocchia una promettente fanciulla.
 
    Le fa: ‹‹Ti è piaciuto?››
    ‹‹Che?››
    ‹‹Il concerto. Ti è piaciuto?››
    Si gira. Lo guarda ora per la prima volta negli occhi. Increspa il sopracciglio. ‹‹S-sì››.
    ‹‹Anche a me!›› (piglio convinto). È carina: gonna lunga e sandaletto ma niente piercing o rasta; quell’incrocio tra figlia dei fiori e ragazza-per-bene che ti fa sperare in un decente proseguo della conversazione. ‹‹È da molto che ascolti Vinicio?›› ‹‹S-sì... abbastanza››. Niente da fare, forse ti sei sbagliato. ‹‹Che ti piace di lui?›› ‹‹È un poeta!›› (quasi trafelata, ma per la prima volta, senza timidezza).

    Eccoci al dunque, il vademecum dei fans di Capossela deve recitarlo alla prima pagina: osannalo in quanto Poeta e Maestro. Evidentemente in pochi si sono poi spinti oltre quella pagina, che una spiegazione più estesa della loro venerazione per il cantautore mica te la sanno dare. ‹‹Cioè?›› Ti guardano allibiti come se steste parlando proprio due lingue diverse e ribadiscono il concetto, a mo’ di tautologia: ‹‹Un poeta!››. Al ché meglio abbandonare il campo, desistere prima di addentrarti in noiose quanto inutili diatribe sul concetto di poesia. Annuisci, ‹‹Certooo! La confusione, sai... un poeta, sicuro!››. Sorridi, giri i tacchi e cambi aria.
 
    Si ripeteva così, stessa trafila, a tutti i concerti caposseliani. Musico si riprometteva ogni volta di non tornarci, o quantomeno di non provarci più con le sue fans.


[1] Ci rendiamo conto dell’assoluta obsolescenza di un concetto quale genìa, o razza, o simili. Ce ne scusiamo, ma queste sono le idee del protagonista di questa storia, non le nostre. D’altra parte anche il termine spettatore, oggi, non si addice tanto alla realtà dei fatti. Meglio fan e, per esser leali nei confronti del nostro amato lettore, parleremo d’ora in poi di fan, appunto.


venerdì 28 dicembre 2012

Corvo

Carissimo corvo,
e così sei nero e torvo,
un po' per stima
un po' per rima.
 
     Eppure ti ricordi, corvo? Eri uccello oracolare all'inizio, caro alle sibille e alle indovine, in tutte le tradizioni profeta e chiaroveggente. Difatti, quando i Greci hanno avuto la meglio nel Mediterraneo, ti hanno agganciato al loro dio premonitore per eccellenza, Apollo. Ma poteva, Il dio del Sole, avere un uccellaccio nero come simbolo e messaggero? Evidente che no. Secondo il mito, eccoti allora un bel piumaggio bianco e candido. Poi è venuto il tempo della tresca di Apollo con la bella Coronide e poi ancora il dio, sempre lui, dovendo assentarsi per un poco, ti ha messo a guardia della fanciulla stessa. Tu l'hai vista fra le braccia di un altro, l'hai rivelato al tuo padrone e ne hai ricevuto in cambio una maledizione: Apollo, per la rabbia, ti ha fatto la tintura e ti sei ritrovato tutto nero. Sei diventato l'uccello del malaugurio, corvo, porti brutte notizie. E c'è niente da dire, la cattiva sorte non fa piacere a nessuno conoscerla, né agli dei né agli uomini (che son poi fatti a loro immagine e somiglianza).
    Tu poi corvo te la vai proprio a cercare. Che oltre che nero, fai anche un verso cacofonico e giri attorno alle carogne e spilucchi gli occhi delle altre bestie. Per non parlare di Esopo, che nella sua favola fai proprio la figura del becco (a voler rimanere in tema di volatili, morali e proverbi). Coi Romani non ti è andata molto meglio, che l'onomatopea del tuo verso, cra cra, è stata associata al cras, al domani, a chi rinvia sempre: sei diventato emblema del pigro e dell'indeciso. Eppure Plinio il Vecchio ti ammirava, forse per la facilità con cui l'uomo ti può addomesticare, se ti cattura giovane, che riesce pure a farti dire alcune parole.
    Anche nella Bibbia, corvo, non ti è andata tanto bene. Sei tra gli animali immondi dei quali è proibito cibarsi, considerato l'antitesi dell'immacolata colomba e un rapace inaffidabile, dopo il tuo disdicevole comportamento con Noè (che non sei più tornato all'arca dopo che ti aveva mandato a controllare il livello delle acque post-diluvio). Nero come il peccato, il tuo cra cra inteso come il costante rinvio del pentimento, il tuo cibo preferito i cadaveri... corvo, non potevi che simboleggiare il peccatore, il maligno, l'eretico. Ma Dio è troppo buono e lascia anche a te una via di scampo. Sono infatti dei corvi quelli che portano cibo ad Elia nel deserto, e sono i tuoi piccoli che gracidano al Cielo per esser sfamati. Allora corvo ecco che rappresenti anche la schiera dei peccatori pentiti e quella dei neo convertiti.
    Ma il riscatto vero e proprio viene dalla mitologia nordica. Qui, per esempio, col tuo volo indichi dove posizionare l'esercito per la vittoria; se segui un guerriero, sei segno di buon auspicio; propizi la fondazione di nuove città. Poi la parte più importante la fai in Svezia, che lì il dio Odino, Signore dei corvi, alle volte assumeva proprio le tue sembianze per mostrarsi in pubblico. Tra l'altro c'è una figura, su un elmo, che c'è proprio Odino che davanti e dietro c'ha un corvo. E quello davanti è Huginn, pensiero, quello dietro la testa di Odino è il corvo Muninn, memoria. E questi due, Huginn e Muninn, volavano tutto il giorno per il mondo e, alla sera, spifferavano tutto a Odino. Si vede, corvo, che ce l'hai un po' nel sangue di fare la spia, che già con Coronide e Apollo... Me poi adesso mi viene in mente di Malefica, la strega della Bella Addormentata, che anche lei c'aveva proprio un corvo che attraverso il suo occhio vedeva tutto quello che succedeva.

    Niente, io alla fine me lo devo chiedere: com'è che così nero, col tuo brutto verso e con tanto che ti mangi le carogne... com'è che sei stato associato a divinità solari e/o così importanti? Com'è che c'hai tutte queste proprietà profetiche? Allora forse, mi son detta, è perché becchi gli occhi delle altre bestie... e invece il tuo occhio vale di più, ci vede meglio, tipo. Poi c'è il fatto che puoi dire delle parole... Oppure è per esorcizzarti, chessò. Dopo devo dire che ho anche letto una roba interessante: che il nero, oltre che delle tenebre e della morte, è pure il colore del ventre materno e della terra che preparano la germinazione. Allora tipo da te può nascere il destino, qualche profezia... Così avrebbe un po' più senso, credo. Comunque me mi sei simpatico, corvo!

sabato 30 giugno 2012

Secondo incontro: Jerome David Salinger

C'è un'altra voce oggi che proviene dalla pancia del mammifero, e che suona più o meno così:
    Allora la vecchia Phoebe disse qualcosa, ma non riuscii a sentirla. Aveva l’angolo della bocca schiacciato contro il cuscino e non riuscii sentirla.
    – Come? – dissi. – Tira via la bocca di là. Non riesco a sentirti, se tieni la bocca in quel modo.
    – A te non ti piace niente di quello che succede.
    Quando disse così mi fece sentire ancora più depresso.
    – Ma sì che mi piace! Sì che mi piace! Naturale che mi piace. Non dire così. Perché diavolo dici così?
    – Perché non ti piace. Non ti piace nessuna scuola. Non ti piacciono un milione di cose. Non ti piace.
    – Invece sì! Qui hai torto, è proprio qui che hai torto! Perché diavolo devi dire così? – dissi. Ragazzi, quanto mi deprimeva.
    – Perché non ti piace, – disse. – Dinne una.
    – Una? Una cosa che mi piace? – dissi. – D’accordo.
    Il guaio era che non riuscivo a concentrarmi troppo. È difficile concentrarsi, certe volte.
    – Una cosa che mi piace molto, vuoi dire? – le domandai.
   Ma lei non mi rispose. Stava tutta scontorta e capovolta dall’altra parte del letto. A mille miglia di distanza. – Avanti, rispondimi, – dissi. – Una cosa che mi piace molto, o che mi piace soltanto?
    – Che ti piace molto.
    – Benissimo, – dissi. Ma il guaio era che non riuscivo a concentrarmi.
[...]
    – Come? – dissi alla vecchia Phoebe. Mi aveva detto qualcosa, ma non l’avevo sentita.
    – Non riesci a trovare nemmeno una cosa.
    – Ma sì. Ma sì.
    – Be’, allora dilla.
    – Mi piace Allie, – dissi. – E mi piace fare quello che sto facendo adesso. Stare seduto qui con te a parlare, e a pensare alle cose, e…
    – Allie è morto. Dici sempre la stessa cosa! Se uno è morto eccetera eccetera e sta in cielo, non è veramente…
    – Lo so che è morto! Credi che non lo sappia? Ma mi può ancora piacere, no? Non è mica che uno non ti piace più solo perché è morto, Dio santo, specie se è mille volte meglio della gente viva che conosci e compagnia bella.
    La vecchia Phoebe non disse niente. Quando non trova niente da dire, non dice più mezza dannata parola.
    – Ad ogni modo, mi piace ora, – dissi. – Proprio adesso, voglio dire. Stare seduto qui con te a fare quattro chiacchiere e a scherzare...
    – Questa non è una vera cosa!
    – È una vera cosa eccome! Certo che lo è. Perché diavolo non lo è? La gente non crede mai che una cosa sia una vera cosa. Ne ho arcipiene le maledette tasche.
    –Smettila di bestemmiare. Va bene, dimmi qualcos’altro. Dimmi che cosa ti piacerebbe essere. Come uno scienziato. O un avvocato o qualche cosa.
    – Non potrei essere uno scienziato. In scienze sono una schiappa.
    – Be’, un avvocato, come papà e compagnia bella.
    – Gli avvocati sono in gamba, direi, ma non mi attira, – dissi. – Voglio dire, sono in gamba se vanno in giro tutto il tempo a salvare la vita degli innocenti e roba simile, ma se sei avvocato queste cose non le fai. Tutto quello che fai è accumulare soldi giocare a golf giocare a bridge comprare macchine bere martini e aver l’aria dell’alto papavero. E del resto! Anche se te ne vai in giro a salvare la vita della gente e via discorrendo, chi ti dice che lo fai perché vuoi veramente salvare la vita della gente, e non perché in realtà quello che vuoi è soltanto di essere un fenomeno di avvocato, con tutti quanti che ti dànno manate sulla schiena e ti fanno le congratulazioni in tribunale quando il maledetto processo è finito e i giornalisti e tutti quanti, come si vede in quegli sporchi film? Chi ti dice che non sei uno sbruffone? Non lo sapresti mai, ecco il guaio.
    Non sono ben sicuro che la vecchia Phoebe capisse di che diavolo parlavo. Voglio dire, in fondo non è che una bambina e via discorrendo. Però stava a sentire, almeno. Se qualcuno almeno vi sta a sentire non è tanto brutto.
    – Papà ti ammazza. Vedrai che ti ammazza, disse.
    Ma io non la sentivo. Stavo pensando a un’altra cosa – una cosa pazzesca. – Sai cosa mi piacerebbe fare? – dissi. – Sai cosa mi piacerebbe fare? Se potessi fare quell’accidente che mi gira, voglio dire.
    – Cosa? Smettila di bestemmiare.
    – Sai quella canzone che fa ‹‹Se scendi tra i campi di segale, e ti prende al volo qualcuno››? Io vorrei...
    – Dice ‹‹Se scendi tra i campi di segale, e ti viene incontro qualcuno››, – disse la vecchia Phoebe. – È una poesia. Di Robert Burns.
    Lo so che è una poesia di Robert Burns.
    Però aveva ragione lei. Dice proprio ‹‹Se scendi tra i campi di segale, e ti viene incontro qualcuno››. Ma allora non lo sapevo.
    – Credevo che dicesse ‹‹E ti prende al volo qualcuno››, – dissi. – Ad ogni modo, mi immagino sempre tutti questi ragazzini che fanno una partita in quell’immenso campo di segale eccetera eccetera. Migliaia di ragazzini, e intorno non c’è nessun altro, nessun grande, voglio dire, soltanto io. E io sto in piedi sull’orlo di un dirupo pazzesco. E non devo fare altro che prendere al volo tutti quelli che stanno per cadere dal dirupo, voglio dire, se corrono senza guardare dove vanno, io devo saltar fuori da qualche posto e acchiapparli. Non dovrei fare altro tutto il giorno. Sarei soltanto l’acchiappatore nella segale e via dicendo. So che è una pazzia, ma è l’unica cosa che mi piacerebbe veramente fare. Lo so che è una pazzia.
J. D. Salinger, Il giovane Holden
 E' buffo, questo passo mi parla di me. Di me seduta in questa balena a parlare con dei morti che sono davvero più interessanti dei vivi. Ridimensiono: di buona parte dei "vivi". Resterebbe poi da chiarirsi sul concetto di vita, quanto mai arbitrario e soggettivo. Vivi e lascia vivere, naturalmente. Ciascuno come crede, purché rispetti le leggi e paghi le tasse, credo. Quando tutto si riduce a questo la storia diventa infinitamente più semplice. Vievere significa fare bene un mestiere: fare bene l'avvocato e lo scienziato, per esempio. Porti a casa un buono stipendio, ti paghi l'abito firmato e le vacanze nelle isole tropicali. Magari ci hai anche dei figli e li mandi alle scuole più prestigiose...
Ma se vivere significasse per qualcuno anche prendere al volo tutti quelli che stanno per cadere dall'orlo di un dirupo pazzesco? Io credo che sia così. Viviamo così. Tutti in competizione (competizione rigorosamente senza regole: società globale e liberissimo mercato), tutti in corsa, tutti pronti a scannarci...  e prima o poi ci arriveremo all'orlo di quel dirupo... e allora sarà bene che ci sia qualche volenteroso pronto ad acchiapparci al volo. Qualcuno che ci ricordi che la vita non è solo arrivare primi e portare a casa il jackpot. Qualcuno che ci dica di respirare, che si può e si deve rallentre. Rallentare il passo, regolarlo sul ritmo lento del pensiero e dello sguardo. Vedere e non capire. E allora cercare, domandare, trovare le risposte. E poi perderle e ancora cercare. E aspettare e sperimentare l'assenza e capire. Per poi non capire di nuovo. E partire e tornare....


"Canciòn de las simples cosas", trad. in italiano da Vinicio

lunedì 5 marzo 2012

Libri, vino e libertà (appunti)

Liber è colui che nasce libero. Ma liber, in latino, è anche il libro. Poi c'è Liber, il dio italico dei frutti, presto assimilato al collega greco Bacco. 
Libertà, libri e vino. Non so perché stasera mi vengano in testa queste relazioni. Poi penso al "Marinai, profeti e balene" di Vinicio... la letteratura è protagonista indiscussa. Così pure il vino, con Polifemo che diventa Vinocolo, i marinai che chiedono rhum, Pryntyl che si ubriaca a furia di Spritz, Calipso che irretisce nel suo abbraccio di ambrosia a mezzo di vino e amore... E la libertà? Ma che cos'è la libertà? La libertà dell'oceano di rollare le proprie onde oilalà. La libertà di Achab di ossessionarsi della balena bianca. La libertà di una donna di farsi ingannare dall'attesa. La libertà di Ulisse di non trovare la via del ritorno. La libertà di Lord Jim di non venire a patti con la propria coscienza...
Forse si è liberi davvero quando si rispetta la propria essenza. Se e quando la si conosce. Libri e vino potrebbero essere strumenti per appropriarsi di questo tipo di libertà.


martedì 28 febbraio 2012

Primo incontro: Amelia Rosselli

Buonasera - non ho potuto resistere al fascino di un'ouverture stile cantante confidenziale... intimità col pubblico... tono basso e voce calda -. Buonasera, dunque, in questa sera in cui la pancia della balena echeggia la voce di Amelia Rosselli.
La prima volta che ho sentito la parola di Amelia fu durante una lezione di "Letteratura contemporanea". Leggeva, il professore, e io non capivo; poi stordivo dentro. Di lì a poco ci comprammo (io e la mia socia di studi) la raccolta di tutte le poesie. Libro letto solo molto tempo dopo.
E così Amelia mi ronza in testa spesso, sarà per quel suo poemetto, La Libellula (panegirico della libertà), ascoltato in parte a lezione e mai più scordato. Sarà perché il suo cognome fa rima col mio (sciocca attrazione delle coincidenze).

Amelia, mi rima in testa la tua libellula
che è un piacere
ed è un piacere.

Amelia, rimami e rimami in testa tu
trova il ritornello
se tu puoi se tu vuoi. Se tu.
Se tu guerri con lui
io guerro con lui [su la tua pagina].
Ma è solo fantasima della nostra mente
offuscata dal sale
grosso di cucina.

Ora Amelia risponde. E si sente la sua voce provenire da un lato dello stomaco della balena. Tra costola e costola, appoggiata, seduta, scandisce meticolosa la parola:
Se tu suoni un flauto troppo puramente entro i boschi
privilegiati della tua caverna riempita di muffa, io non
ti posso seguire entro il tanfo delle tue abitudini. Se
tu apri una porta che socchiude un istante e non trovi
la bella addormentata, io non posso scucire questo mio abito
di tristi fantasie. Il monocolo delle tue invenzioni è
pallida cosa in confronto all'abito che ti porgo ed ho
scucito per la tua gagliardia! Ritrova il segreto che fece
fiorire l'arbustello accanto alla porta che s'apriva con
rapida facilità, io resto nel buio e ti contemplo lavarti
le mani se non svieni sulla soglia di tutte le felicità.
      (da Variazioni Belliche, sezione: Variazioni, 1960-1961)

perché non ti posso dire che sono brava. Credi a me, v'è,
per esempio, per critica delle cose, un segno, nelle mie labbra
che tu sei fermo. 
Prendi la penna e impara a guardare, rischia la tosse nel
vestibolario, quasi, piccolo cerchio anche, dozzine
ma che dico, centinaia di sguardi puliti alle mie spalle,
la notte invece un rimare senza spalle.
  (da Variazioni Belliche, 5 poesie per una poetica, 1960-1961)


Ti vendo i miei fornelli, poi li sgraffi
e ti siedi impreparato alla scrivania
se ti vendo il leggiero giogo della
mia inferma mente, meno roba ho, più
contenta sono. Disfatta dalla pioggia
e dai dolori incommensurabile mestruazione
senilità che s'avvicina, petrolifera 
immaginazione.
               (da Documento, 1966-1973)


[...] Ed io ti chiamo ti chiamo ti chiamo
sirena, ci sono solo. E tu suoni e risuoni e
risuoni e risuoni o chimera. E perciò io ti chiamo
e ti chiamo e ti chiamo chimera. E io ti chiamo e ti chiamo
e ti chiamo sirena. [...]
               (da La Libellula (panegirico della libertà), 1958)
 
 



giovedì 23 febbraio 2012

Chiediti perché hai studiato Lettere, ora - rispondere a posteriori è sempre più facile -. Perché le parole sono lo strumento più potente che ci abbiamo. Ce le siamo forgiate nel tempo e i significati si sono sedimentati e stratificati. Poi anche diversificati e talvolta capovolti.
Con le parole ci si può fare un mucchio di cose. Convincere la gente, per esempio (tra l'altro di quello che vuoi, se hai il talento dell'oratore). Di lì puoi governare uno stato... o accontentarti di difendere la gente al tribunale. Ti puoi inventare imbonitore o essere un ottimo venditore. Sopra le parole, altrimenti, ci puoi costruire il tuo mestiere di giornalista. Oppure ci puoi fabbricare delle opere d'arte: romanzi, poesie... canzoni. La cosa più banale (?): ci parli, con le parole. Quando parlare significa collegare il cervello alle sillabe, intendo.

Mi piace incontrare persone che sappiano parlare. Certo, non serve nessuna laurea per questo. Totalpiù quella ti dà un pochino di consapevolezza aggiunta - alla fine, infatti, credo di essermi iscritta a Lettere perché mi piace leggere... è una solida base per costuirmici l'avvenire! -. Dicevo... vorrei incontrare persone che non sciupino il dizionario. Persone che: ogni parola un grammo e tot calorie; fare il conto prima di inceppare la glicolisi.

Ahah, "glicolisi"... non è una parola a caso (per l'appunto!). Mi ricorda di una sera in enoteca a parlare di un blog. Due calici, un computer, qualche progetto, dell'entusiasmo... poi nulla di fatto, naturalmente, perché spesso le parole rimangono solo parole. E allora io mi sono costruita la mia pancia della balena. Sarà popolata da molti dei nostri eroi, suppongo.  

lunedì 20 febbraio 2012

Partenza

Inabissarsi è rischioso, si sa. La posta in gioco è la via. La strada di casa non si perde, ma si dimentica volontariamente. Il motore che ci spinge sempre avanti è la sete di conoscenza. Il premio è l'incontro che deve ancora avvenire.
Sono viaggi reali e immaginari. Per avventurieri... per eroi... ma anche, più semplicemente, per uomini. E' la vita di tutti i giorni nella sua routine e nella sua imprevedibilità. Ogni giorno uguale al precedente e diverso. La differenza ce la mettiamo noi e il più delle volte costa fatica. La differenza ce la mettiamo noi quando ci auscultiamo per poi ascoltare. Ascoltare le voci. Le voci nel tempo. Le voci nella pancia della balena.
    Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.
                      (Inf. XXVI, 118-120)
    Siamo rimasti Voce, senza più corpo, sul bordo della nostra gioventù, sull'orlo di come sarebbe dovuta andare. La voce delle serenate, che ci echeggiano nelle orecchie, e non ci lasciano in pace.
    Puniti dalla troppa passione, ci si è portati al punto di rimanere fermi davanti ai bivi.
    Allora ci è voluto il ritiro, l'impresa e l'epopea.
    La voce è diventata la nostra divinità, il nostro nume.
    Essa soltanto ci tutela e conserva, ci riproduce, che ci ha infebbrato la vita, ingravidati, e solo la voce è rimasta per sgravare quella colica di immaginazione, quel mare grosso che ci ha sollevati fino a dove Dio si è fatto intravedere e poi ancora, ci ha annegati, ributtati dalla parte di sotto. La voce è la nostra barca, il nostro confine, quel che resta di noi, l'eco della nostra voce, rimbalzante per tutti gli spigoli dai quali ci siamo intravisti.
    La voce, eco della visione.
                    (Vinicio Capossela, Non si muore tutte le mattine)

giovedì 16 febbraio 2012

Praefatio

Nella pancia della balena. 
Nella pancia della balena ci vai e sai chi puoi incontrare. Oppure ci capiti per caso. Può anche darsi che per un'intera vita tu non ci finisca mai, e questo è un peccato.
Il più delle volte ci scivoli dentro da bambino, insieme a Pinocchio. Ma quello della Walt Disney, e allora il viaggio dura troppo poco per ricordarsene. Con Collodi è più suggestivo e divertente (specie se ci fabbrichi intorno un esame di Storia della Lingua italiana, ma questa è un'altra faccenda). Poi la Bibbia, Hobbes e Melville ti possono complicare un po' le cose, ma siamo qui per questo. (Per inciso: "complicato" non è il contrario di "semplice"; tanto più che "semplice" non è sinonimo di "divertente". Mi piacciono le sfumature).

Nella pancia della balena forse ci stavo già da qualche tempo. Senza saperlo. Poi mi ritrovo a teatro, al concerto di Vinicio, tra le costole del cetaceo. Dentro ci sono marinai, profeti, sirene, polpi d'amore, eroi, giganti e... uomini. Sono finiti tutti lì con le loro storie da raccontare. E mi sono resa conto, in definitiva, che avevo voglia di ascoltarle.