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martedì 28 febbraio 2012

Primo incontro: Amelia Rosselli

Buonasera - non ho potuto resistere al fascino di un'ouverture stile cantante confidenziale... intimità col pubblico... tono basso e voce calda -. Buonasera, dunque, in questa sera in cui la pancia della balena echeggia la voce di Amelia Rosselli.
La prima volta che ho sentito la parola di Amelia fu durante una lezione di "Letteratura contemporanea". Leggeva, il professore, e io non capivo; poi stordivo dentro. Di lì a poco ci comprammo (io e la mia socia di studi) la raccolta di tutte le poesie. Libro letto solo molto tempo dopo.
E così Amelia mi ronza in testa spesso, sarà per quel suo poemetto, La Libellula (panegirico della libertà), ascoltato in parte a lezione e mai più scordato. Sarà perché il suo cognome fa rima col mio (sciocca attrazione delle coincidenze).

Amelia, mi rima in testa la tua libellula
che è un piacere
ed è un piacere.

Amelia, rimami e rimami in testa tu
trova il ritornello
se tu puoi se tu vuoi. Se tu.
Se tu guerri con lui
io guerro con lui [su la tua pagina].
Ma è solo fantasima della nostra mente
offuscata dal sale
grosso di cucina.

Ora Amelia risponde. E si sente la sua voce provenire da un lato dello stomaco della balena. Tra costola e costola, appoggiata, seduta, scandisce meticolosa la parola:
Se tu suoni un flauto troppo puramente entro i boschi
privilegiati della tua caverna riempita di muffa, io non
ti posso seguire entro il tanfo delle tue abitudini. Se
tu apri una porta che socchiude un istante e non trovi
la bella addormentata, io non posso scucire questo mio abito
di tristi fantasie. Il monocolo delle tue invenzioni è
pallida cosa in confronto all'abito che ti porgo ed ho
scucito per la tua gagliardia! Ritrova il segreto che fece
fiorire l'arbustello accanto alla porta che s'apriva con
rapida facilità, io resto nel buio e ti contemplo lavarti
le mani se non svieni sulla soglia di tutte le felicità.
      (da Variazioni Belliche, sezione: Variazioni, 1960-1961)

perché non ti posso dire che sono brava. Credi a me, v'è,
per esempio, per critica delle cose, un segno, nelle mie labbra
che tu sei fermo. 
Prendi la penna e impara a guardare, rischia la tosse nel
vestibolario, quasi, piccolo cerchio anche, dozzine
ma che dico, centinaia di sguardi puliti alle mie spalle,
la notte invece un rimare senza spalle.
  (da Variazioni Belliche, 5 poesie per una poetica, 1960-1961)


Ti vendo i miei fornelli, poi li sgraffi
e ti siedi impreparato alla scrivania
se ti vendo il leggiero giogo della
mia inferma mente, meno roba ho, più
contenta sono. Disfatta dalla pioggia
e dai dolori incommensurabile mestruazione
senilità che s'avvicina, petrolifera 
immaginazione.
               (da Documento, 1966-1973)


[...] Ed io ti chiamo ti chiamo ti chiamo
sirena, ci sono solo. E tu suoni e risuoni e
risuoni e risuoni o chimera. E perciò io ti chiamo
e ti chiamo e ti chiamo chimera. E io ti chiamo e ti chiamo
e ti chiamo sirena. [...]
               (da La Libellula (panegirico della libertà), 1958)
 
 



giovedì 23 febbraio 2012

Chiediti perché hai studiato Lettere, ora - rispondere a posteriori è sempre più facile -. Perché le parole sono lo strumento più potente che ci abbiamo. Ce le siamo forgiate nel tempo e i significati si sono sedimentati e stratificati. Poi anche diversificati e talvolta capovolti.
Con le parole ci si può fare un mucchio di cose. Convincere la gente, per esempio (tra l'altro di quello che vuoi, se hai il talento dell'oratore). Di lì puoi governare uno stato... o accontentarti di difendere la gente al tribunale. Ti puoi inventare imbonitore o essere un ottimo venditore. Sopra le parole, altrimenti, ci puoi costruire il tuo mestiere di giornalista. Oppure ci puoi fabbricare delle opere d'arte: romanzi, poesie... canzoni. La cosa più banale (?): ci parli, con le parole. Quando parlare significa collegare il cervello alle sillabe, intendo.

Mi piace incontrare persone che sappiano parlare. Certo, non serve nessuna laurea per questo. Totalpiù quella ti dà un pochino di consapevolezza aggiunta - alla fine, infatti, credo di essermi iscritta a Lettere perché mi piace leggere... è una solida base per costuirmici l'avvenire! -. Dicevo... vorrei incontrare persone che non sciupino il dizionario. Persone che: ogni parola un grammo e tot calorie; fare il conto prima di inceppare la glicolisi.

Ahah, "glicolisi"... non è una parola a caso (per l'appunto!). Mi ricorda di una sera in enoteca a parlare di un blog. Due calici, un computer, qualche progetto, dell'entusiasmo... poi nulla di fatto, naturalmente, perché spesso le parole rimangono solo parole. E allora io mi sono costruita la mia pancia della balena. Sarà popolata da molti dei nostri eroi, suppongo.  

lunedì 20 febbraio 2012

Partenza

Inabissarsi è rischioso, si sa. La posta in gioco è la via. La strada di casa non si perde, ma si dimentica volontariamente. Il motore che ci spinge sempre avanti è la sete di conoscenza. Il premio è l'incontro che deve ancora avvenire.
Sono viaggi reali e immaginari. Per avventurieri... per eroi... ma anche, più semplicemente, per uomini. E' la vita di tutti i giorni nella sua routine e nella sua imprevedibilità. Ogni giorno uguale al precedente e diverso. La differenza ce la mettiamo noi e il più delle volte costa fatica. La differenza ce la mettiamo noi quando ci auscultiamo per poi ascoltare. Ascoltare le voci. Le voci nel tempo. Le voci nella pancia della balena.
    Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.
                      (Inf. XXVI, 118-120)
    Siamo rimasti Voce, senza più corpo, sul bordo della nostra gioventù, sull'orlo di come sarebbe dovuta andare. La voce delle serenate, che ci echeggiano nelle orecchie, e non ci lasciano in pace.
    Puniti dalla troppa passione, ci si è portati al punto di rimanere fermi davanti ai bivi.
    Allora ci è voluto il ritiro, l'impresa e l'epopea.
    La voce è diventata la nostra divinità, il nostro nume.
    Essa soltanto ci tutela e conserva, ci riproduce, che ci ha infebbrato la vita, ingravidati, e solo la voce è rimasta per sgravare quella colica di immaginazione, quel mare grosso che ci ha sollevati fino a dove Dio si è fatto intravedere e poi ancora, ci ha annegati, ributtati dalla parte di sotto. La voce è la nostra barca, il nostro confine, quel che resta di noi, l'eco della nostra voce, rimbalzante per tutti gli spigoli dai quali ci siamo intravisti.
    La voce, eco della visione.
                    (Vinicio Capossela, Non si muore tutte le mattine)

giovedì 16 febbraio 2012

Praefatio

Nella pancia della balena. 
Nella pancia della balena ci vai e sai chi puoi incontrare. Oppure ci capiti per caso. Può anche darsi che per un'intera vita tu non ci finisca mai, e questo è un peccato.
Il più delle volte ci scivoli dentro da bambino, insieme a Pinocchio. Ma quello della Walt Disney, e allora il viaggio dura troppo poco per ricordarsene. Con Collodi è più suggestivo e divertente (specie se ci fabbrichi intorno un esame di Storia della Lingua italiana, ma questa è un'altra faccenda). Poi la Bibbia, Hobbes e Melville ti possono complicare un po' le cose, ma siamo qui per questo. (Per inciso: "complicato" non è il contrario di "semplice"; tanto più che "semplice" non è sinonimo di "divertente". Mi piacciono le sfumature).

Nella pancia della balena forse ci stavo già da qualche tempo. Senza saperlo. Poi mi ritrovo a teatro, al concerto di Vinicio, tra le costole del cetaceo. Dentro ci sono marinai, profeti, sirene, polpi d'amore, eroi, giganti e... uomini. Sono finiti tutti lì con le loro storie da raccontare. E mi sono resa conto, in definitiva, che avevo voglia di ascoltarle.