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mercoledì 23 gennaio 2013

Potenziali stati di benessere che collassano all'uscita


    Io quando compro libri sono felice. Mi faccio tutto il giro della libreria – anche se so già cosa andrò a comprare, massimo sono indecisa tra due, tre libri... allora li sfoglio un po’ poi decido... neanche escluso che li compri tutti e tre... poi insomma purtroppo molto spesso tutto si riduce all’ampiezza del portafoglio, ovviamente – comunque dicevo che mi faccio lo stesso il tour completo. Da qualche tempo si parte proprio dalla vetrina. Voglio vedere se c’è il libraio coraggioso che caccia in bella vista qualcosa di più dei soliti Mondadori Rizzoli Einaudi e via dicendo. Che poi me li compro anch’io i Mondadori ecc, però mi prende già un sorriso se dietro il vetro vedo, per dire, un Minimum fax. Bene allora poi si entra e si fa il giro. Certe parti con più attenzione, certe altre più veloci. Tipo il settore dei gialli, per dire, non mi prende tanto. Eh lo so, devo fare la bastiana contraria anche qui. Ma l’unico giallo che mi ha fatto cambiare idea sui gialli è un giallo che poi non è neanche un giallo canonico (che poi forse è per questo che mi è piaciuto, sarebbe anche facile da dedurre), cioè per la critica forse è quello che si dice un giallo suis generis. E per farla breve è un capolavoro e pace, “Quer pasticciaccio brutto di via Merulana”. Poi adesso che ci penso mi è venuto in mente che c’è anche un altro giallo che avevo letto tipo a dieci undici o dodici anni e che il titolo me lo ricordo ancora per cui mi era piaciuto, insomma. “La morte arriva per posta”. Mi ricordo anche un po’ la trama e la copertina. Comunque poi non c’è stato feeling con i gialli. Per la verità neanche con i romanzi rosa. Forse i colori abbinati alla letteratura non fanno per me, non saprei.

    Allora di solito passo veloce in prossimità del reparto gialli. Anche fantasy thriller vampiri alieni di solito ci passo davanti senza fermarmi. – Devo dire una cosa che c’entra poco e niente: un paio di settimane fa ho preso un libro in biblioteca che, stranamente, era etichettato come thriller. Mi son chiesta anche il motivo perché dentro di me non avevo proprio ipotizzato che potesse mai trattarsi di un thriller. Comunque poi l’ho letto e difatti per me del thriller c’aveva solo l’etichetta piazzata da qualche d’uno più o meno a caso –. Dev’essere che in me scatta qualcosa davanti alle catalogazioni. Un po’ come la faccenda degli -ismi (Positivismo, Romanticismo, Pessimismo, Decadentismo e così via andando sempre in peggio fino a finire a Ottimismo che è un male di vivere) che studi al liceo per poi sentirti dire che è una cazzata all’università. Io devo aver sposato la tesi dell’università inconsciamente già da prima, suppongo. Così se trovavo una targhetta sopra a fianco o davanti a uno scaffale lo evitavo, bo non saprei.

    Invece poi passo per bene in rassegna la narrativa e la poesia. Che poi la poesia si fa presto. Può anche essere del tutto missing mentre se c’è, il reparto poesia, in genere son poche mensole che includono tutto, dal latino alla nostrana alla mondiale di tutti i secoli dei secoli amen. E la cosa è pure strana perché noi, intendo noi Italiani, nasciamo poeti. E – purtroppo – c’è un momento della vita che tutti abbiamo scritto almeno una poesia, un verso, una cazzo di rima, per dio, tutti l’abbiamo scritta! E c’è almeno un giorno della nostra esistenza che tutti ci siamo sentiti poeta. Eppure gli scaffali poetici non sono qui a testimoniarlo. – Per certi versi (ahah) è anche un bene. Che alcuni di noi è proprio meglio che non si sentano poeti. E manco prosatori. Comunque pare che oramai tutti si possa parlare o, peggio ancora, scrivere... le parole sono proprio troppo, abusivamente, democratiche. –

    Ultimamente, sempre che esista, mi soffermo un po’ anche dai fumetti (ancora più bistrattati della poesia). Poi mi faccio anche un giretto nella zona kids. Mi piace e mi vengono i ricordi belli.

    Certo poi alla fine vado alla cassa. Sono felice, ho i miei libri in mano (o il mio libro se è uno, chiaramente). Ora: perché tu che li vendi, ’sti libri, devi avere quella faccia da culo lì? Dico, manco avessi comprato la roba di Volo, Moccia, calciatori cuochi show-women, le sfumature gialle rosse e verdone... Sto comprando un libro che tu che lavori in libreria, per dio, devi sapere cosa c’è dentro, devi sapere che è LIBRO e non poltiglia di cellulosa scarabocchiata. Non dico che devi farmi i complimenti per la scelta (non penso che ci crederei), ma DEVI farmi un sorriso... cazzo, potresti augurarmi buona lettura! Invece te ne stai lì col tuo muso, batti uno scontrino, ti giri a dire una roba a quell’altra tua collega, mi allunghi il resto senza manco guardarmi in faccia. E non siamo in una mega libreria del centro di Milano Roma Torino. Non sei una cazzo di addetta alla cassa che tanto valeva lavorare al supermercato. Siamo in una piccola libreria di un piccolo centro. Voglio uscire di lì col mio bottino e il mio stato di gioia. Con 32 denti in vista e le rughe intorno alla bocca. Voglio che tu mi chieda se mi serve una busta ecologica, capito? Io non posso mettere il libro in borsa che mi si rovina tutto.