C’era una volta Musico. Andava ai concerti
perché se ne intendeva. Gli studi o il talento naturale, cose così. E allora
niente, Musico ne capiva di tutta la musica, di tutti gli spartiti, di tutte
le note, di tutti i musicisti, i cantautori, i concertisti, i direttori
d’orchestra, eccetera eccetera. Conosceva anche tutti gli strumenti,
naturalmente, perfino quelli che adesso dovrei cercare il loro nome su Google
perché io, invece, non li so. Perciò Musico era dunque un grande intenditore
della musica per intero, aveva, come si dice, una visione rotonda e completa
del panorama musicale presente, passato e, io lo credo, anche futuro. E andava
ai concerti. Molti e differenti. Da solo o con amici. Allora capita che Musico
va una sera a sentire Vinicio Capossela. Che poi, tra l’altro, c’era già andato
altre volte. Non è tanto che gli fosse scoppiata la passione per il cantautore
(che anzi, a essere sincero, lo trovava piuttosto stonato), ma non gli
dispiaceva, via. Poi voleva trovare la conferma di certi suoi pensieri circa la
singolare genìa delle spettatrici caposseliane[1]. Insomma
Musico va, si ascolta il concerto poi, come sua consuetudine (che era anche un
discreto dongiovanni, benché intimamente misogino), adocchia una promettente
fanciulla.
Le fa: ‹‹Ti è piaciuto?››
‹‹Che?››
‹‹Il concerto. Ti è piaciuto?››
Si gira. Lo guarda ora per la prima volta
negli occhi. Increspa il sopracciglio. ‹‹S-sì››.
‹‹Anche a me!›› (piglio convinto). È
carina: gonna lunga e sandaletto ma niente piercing o rasta; quell’incrocio tra
figlia dei fiori e ragazza-per-bene che ti fa sperare in un decente proseguo
della conversazione. ‹‹È da molto che ascolti Vinicio?›› ‹‹S-sì...
abbastanza››. Niente da fare, forse ti sei sbagliato. ‹‹Che ti piace di lui?››
‹‹È un poeta!›› (quasi trafelata, ma per la prima volta, senza timidezza).
Eccoci al dunque, il vademecum dei fans di Capossela deve recitarlo alla prima pagina: osannalo in quanto Poeta e Maestro. Evidentemente in pochi si sono poi spinti oltre quella pagina, che una spiegazione più estesa della loro venerazione per il cantautore mica te la sanno dare. ‹‹Cioè?›› Ti guardano allibiti come se steste parlando proprio due lingue diverse e ribadiscono il concetto, a mo’ di tautologia: ‹‹Un poeta!››. Al ché meglio abbandonare il campo, desistere prima di addentrarti in noiose quanto inutili diatribe sul concetto di poesia. Annuisci, ‹‹Certooo! La confusione, sai... un poeta, sicuro!››. Sorridi, giri i tacchi e cambi aria.
Si ripeteva così, stessa trafila, a tutti i
concerti caposseliani. Musico si riprometteva ogni volta di non tornarci, o
quantomeno di non provarci più con le sue fans.
[1] Ci
rendiamo conto dell’assoluta obsolescenza di un concetto quale genìa, o razza,
o simili. Ce ne scusiamo, ma queste sono le idee del protagonista di questa
storia, non le nostre. D’altra parte anche il termine spettatore, oggi, non si addice tanto alla realtà dei fatti. Meglio
fan e, per esser leali nei confronti
del nostro amato lettore, parleremo d’ora in poi di fan, appunto.
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